Con le geniali esternazioni sulla strategia da adottare con l’ISIS il deputato pentastellato Di Battista ha confermato un sospetto da tempo annidato nelle nostre menti: il sospetto che ci suggerisce che il grillino più cool del parlamento sia un emerito e pericoloso coglione.
Si, perchè solo un pericoloso coglione può lanciarsi in una traballante ricostruzione storica, figlioccia di un terzomondismo da accatto, per arrivare a giustificare la necessità degli stati etcnici, condendo il tutto con quel disprezzo tutto occidentale per i “negretti bisognosi di guide illuminate”.
Il sunto dell’analisi del Dibba sulla vicenda è questo: il terrorismo, l’avanzare dell’islamismo militante, i tagliagole dell’ISIS sono la reazione di resistenza all’imperialismo occidentale quindi con l’ISIS bisogna dialogare e trovare un compromesso, rappresentato dalla creazione di nuove frontiere in medioriente da disegnare in base alle etnie. Un’analisi che parte da basi campate in aria e approda a conclusioni deliranti.
Se è vero che gli interventi occidentali in medioriente hanno solo portato morte e distruzione alle popolazioni che abitano quelle anni (e il caso iraqeno è paradigmatico) è anche vero che buona parte delle responsabilità ricade anche sulle governance locali, cosa che l’onorevole fesso sembra ignorare (tranne durante il breve excursus sulla guerra Iran-Iraq). E non solo ricadono sui governi nazionali ma anche sulle leadership tribali/etniche, sul grande capitale degli stati del golfo, sulla teocrazia iraniana e sull’islamismo.
Scambiare l’ISIS, prodotto sia della politica estera anglosassone, notoriamente fine come il proverbiale elefante nella cristalleria, che di certi settori sauditi che hanno investito ingenti risorse sull’islamismo sunnita di stampo wahabita, e che è, in definitiva, un esercito di soldati politici e di mercenari ben pagati, con la resistenza all’imperialismo statunitense è un errore madornale. L’ISIS non è un movimento di resistenza: l’ISIS è un gruppo di potere, scheggia più o meno impazzita del mosaico mediorientale, che tenta di farsi stato teocratico con velleità espansioniste.
Continuare a vedere il mondo tramite le lenti del terzomondismo è un errore madornale. Gli ultimi decenni hanno ampiamente dimostrato che le governance del così detto terzo mondo non sono per niente migliori rispetto a quelle dell’occidente. Continuare a ragionare per blocchi monolitici quando sulla scena geopolitica mondiale sono entrati, o rientrati, nuovi e potenti attori dimostra una totale miopia politica. Individuare uno dei tanti blocchi del mondo policentrico in cui al momento ci troviamo come migliore di altri, come fa il Dibba quando si eccita a parlare di A.L.B.A. o dell’organizzazione per la cooperzione di Shangai è da imbecilli. Sono blocchi di potere in rapporto più o meno conflittuale tra di loro a scapito degli sfruttati. Niente di nuovo al mondo.
Le conclusioni raggiunte dal pentastellato idiota sono poi ancora più geniali: siccome esiste l’imperialismo cattivo a cui voi, poveri negretti del deserto, non sarete mai in grado di opporvi seriamente noi geniali occidentali in crisi autocritica dobbiamo aiutarvi nel creare degli stati etnici. Che poi sono stati, generalmente, la base dell’imperialismo. Ma Dibba questo non lo sa.
E non sa neanche che in quelle stesse zone, nel Rojava come nel Kurdistan Turco, nascono e si espandono modello di società radicalmente diverse da quelli propinati dagli stati dell’area, riconosciuti o autoproclamati che siano. Troppo preso dalla sua visone bicroma del mondo il nostro arriva a tacere completamente di questo. Così come tacciono quei settori di movimento che si sono eccitati nel leggere il delirio grillino pensando che costui, per avere sparato due banalità di base quali “yankee cattivi”, sia da inserire nel novero dei compagni. Talmente presi dall’intemperialismo delle nazioni dall’essersi scordati che l’antimperialismo è una questione di classe.